Nel palazzo della Stasi: finale

L'angelo azzurro mi ha portata via dal palazzo della Stasi (Marlene Dietrich nel film "L'angelo azzurro", 1930).

(CONTINUA DALLA SECONDA PARTE)

Finalmente, dopo due settimane di vita lussuosa nel palazzo della Stasi, potevo trasferirmi nella mia nuova casa in centro a Praga.
Alla reception mi spiegarono che il giorno della partenza la donna delle pulizie avrebbe dovuto firmarmi un foglio, che attestava la pulizia della camera. Con quel foglio sarei potuta andar via. Speravo anche che mi restituissero i soldi, visto che, come vi ricorderete, all’arrivo avevo dovuto pagare un mese di soggiorno in anticipo.

La mia camera la tenevo pulita. Tuttavia i famosi asciugamani del supermercato non erano di qualità eccelsa: avevano seminato pallini blu ovunque. Inoltre la porta del bagno scrostata aveva continuato a perdere i pezzetti di vernice. Erano sparsi per tutta la camera. Così scesi alla reception e dissi “Vysavač!” Come si intuisce dalla parola stessa, vuol dire aspirapolvere. La vecchietta mi diede un attrezzo che sembrava un residuato bellico della seconda guerra mondiale e che portai via soddisfatta.
“Che ci vuole?” pensavo “Sono solo due metri quadri!”
Iniziai ad aspirare il pavimento, ma ahimé, aspira e riaspira, quell’aspirapolvere non aspirava un baffo. Dovevo ripassarlo dieci volte nello stesso punto perché avesse un minimo effetto. Feci del mio meglio, sudando sette camicie, ma il pavimento rimase più o meno come prima.
Esausta, ritornai alla reception e, indicando l’aspirapolvere con gesti di disperazione, dissi: “Špatný!”, ovvero “cattivo”. La signora allargò le braccia con doloroso stupore. Poi mi mostrò dietro il banco un altro aspirapolvere esattamente identico a quello che mi aveva dato.
Io: “No grazie, ho già dato.”
Tornai in camera preoccupata: il pavimento era sporco. Come avrebbe potuto la donna delle pulizie dichiarare che la camera era pulita? Chiamai allora mio fratello su Skype e gli raccontai la vicenda.
Lui: “Ma possibile che non hai ancora capito?”
Io: “Capito cosa?”
Lui: “Ma come funzionano le cose!”
Io: “E come funzionano?”
Lui: “La donna delle pulizie la devi corrompere!”
Io: “Corromperla??”
Lui: “Ma certo! Tu le dài dei soldi in modo che lei firmi che è pulito. In teoria è come se tu la pagassi perché pulisca lei stessa. In realtà lei intasca i soldi e se ne frega. Così il prossimo trova sporco, la corrompe di nuovo e il ciclo si ripete.”
Io: “Porca miseria, come ho fatto a non pensarci?”
Iniziai a riflettere febbrilmente su quanti soldi avrei dovuto dare alla donna delle pulizie, poi andai a cercarla nel palazzo. La trovai con una collega e vennero con me entrambe. “Oddio”, pensavo, “adesso dovrò corrompere anche l’altra perché stia zitta.” Tremante, le feci entrare nella mia camera. La donna delle pulizie si guardava intorno in silenzio. Di punto in bianco esclamò: “Perfetto! Pulitissimo!” e firmò subito. Ero sbalordita, ma presi il foglio e scappai a gambe levate, prima che cambiasse idea.

Alla reception mi restituirono i soldi che mi dovevano. Tutto a posto. A quel punto non mi restava che chiamare il taxi per andare al lavoro. Meglio il taxi del tram, dato il mio valigione. Chiamai un taxi da un biglietto che avevo trovato. Mi risposero che avrei dovuto aspettare un’ora. “Come sarebbe un’ora?” dissi. Vabbé che abitavo in periferia, però… L’attesa era quella, pertanto mi sedetti rassegnata alla reception e aspettai il taxi per un’ora. Il viaggio in taxi poi durò anch’esso un’ora e così arrivai al lavoro tardissimo.
Spiegai al mio capo il motivo del ritardo: “Ho dovuto aspettare il taxi per un’ora.”
Lui: “Ma che taxi hai preso?”
Io: “Questo”, mostrandogli il biglietto, “la compagnia si chiama ‘Modrý Anděl'”.
Il mio capo scoppiò a ridere: “Ma quello è il taxi per gli ubriachi! ‘Modrý Anděl’ vuol dire ‘L’angelo azzurro'”.
Ma pensa te…

Poco importa. Finalmente avevo lasciato il palazzo della Stasi e quel giorno stesso mi sarei trasferita nella mia nuova casa in centro a Praga. Nel quartiere ebraico, con i gattini nel cortile e bella vista sui tetti.

Vista notturna dalla mia casa a Praga.

Ho raccontato la mia vicenda nel palazzo della Stasi a mia zia Maria, la sosia della Regina Elisabetta di cui vi ho tanto parlato. Zia Maria ha fatto la guerra, viaggi mirabolanti ed è stata persino compagna di lotte di Rosy Bindi.
Eppure questo racconto l’ha profondamente colpita.

Un abbraccio dalla vostra,
Maria Paola