Bayern-Inter 2:3

Carissimi,
martedi sera dovevo andare con la mia coinquilina ad un concerto dell’Orchestra da Camera di Monaco di Baviera qua a Vitoria-Gasteiz. Invece niente: sciopero dei dipententi pubblici, compresi quelli del teatro. I poveri musicisti venuti apposta da Monaco di Baviera si sono ritrovati con le mani in mano.
Io però non volevo rinunciare alla serata culturale. Pertanto ho proposto alla mia adorata coinquilina e ai miei colleghi di andare in un locale a vedere gli ottavi di finale di Champions League: Bayern-Inter.
E poi pensavo: magari vanno a vederla anche i musicisti bavaresi, visto che non hanno niente da fare…

Ci tengo a precisare che io non sono interista. Anzi, in una vita preceliaca sono stata addirittura juventina: mi avevano persino pubblicato una domanda a Tacconi su “Hurrà Juventus”.
Ma se l’Inter continua ad assumere allenatori come Mourinho e Leonardo, che sono uno più Brad Pitt dell’altro, come si fa a non andare a vedere le partite?

Quando ero a Monaco l’anno scorso, avevo visto in un ristorante italiano la semifinale di Champions League Barcellona-Inter. Il locale si chiamava “arte in tavola“, un posto abbastanza chic.
Tuttavia nel menu avevano delle cose strabilianti. Tipo i “Rigattoni”, che piacerebbero sicuramente tanto al Prof. (se solo potesse mangiarli…) e la “Bistecca di Buffola”.
Li per li quando l’ho letto mi è venuto un dubbio e allora ho chiesto al cameriere:
“Ma che animale è questa ‘buffola’?”
Il cameriere: “Ma quella della mozzarella, no?”
Tutto chiaro allora.
Invece alla fine ho preso un bel risotto. Buono e fatto da loro con tanta attenzione (senza dadi e cotto a parte, non nell’acqua della pasta, come spesso si usa).

Quando c’è stata la finale di Champions League 2010, Bayern-Inter come la partita di questo martedi, ero da pochissimo a Praga. Per quel giorno ero invitata a Monaco per una festa di compleanno. Il festeggiato, Bavarese purosangue e gran tifoso del Bayern, era convintissimo di celebrare il compleanno insieme alla vittoria della sua squadra del cuore.
Un caro amico al telefono mi disse, per il mio bene, che era meglio che non venissi: “Vedrai come parlano male del calcio italiano e tu ci rimani male…”
Io: “Ma dai… E se poi invece parlo male io del calcio tedesco?”
Lui (che mi conosce bene): “Fidati, che ci rimani più male tu.”
Morale della favola: sono rimasta a Praga e sono andata a vedere la partita in un ristorante italiano. Purtroppo il cameriere di quel ristorante non sapeva una parola di italiano, ma con la carta per il cuoco in ceco me la sono cavata egregiamente.

Ma torniamo alla partita di martedi scorso. Nel locale, a parte il nostro tavolo, l’età media era 75 anni. A fianco a noi c’era un gruppo di comari, tutte vistosamente ingioiellate di bigiotteria (anzi: “inbigiotteriate”) e biondo-finte, che chiacchieravano animatamente.
Ecco che entra l’Inter. Non so se avete notato (o se i commentatori in Italia l’hanno detto) ma portavano la coccarda tricolore. E già, perché ieri era il 150 anniversario dell’unità d’Italia. Tanti auguri Italia! Coraggio e speranza perché il futuro sarà migliore! Io credo molto nella nuova generazione cresciuta a Erasmus e a Intercultura.
Ma come mai questa bella idea dell’Inter di portare la coccarda durante la partita? Forse la risposta è questa: -> cliccate qui <- Prima della partita i giocatori hanno mostrato uno striscione in giapponese. Il mio collega colombiano, che lo parla molto bene, ci ha detto che voleva dire "Giappone, siamo con te." Poi è iniziata la partita. Primo tempo così così. Specialmente perché inquadravano sempre Van Gaal, l’allenatore del Bayern (ormai caduto in disgrazia ai Bavaresi) e mai Leonardo. Ma guarda un po’, pensavo, e io che sono venuta apposta per questo…

Ecco che finisce il primo tempo e subito parte il telegiornale, con le immagini della tragedia in Giappone e la minaccia di una catastrofe nucleare.
Il mio collega colombiano, che ha vissuto sei anni in Giappone nella provincia di Fukushima, a cento chilometri dal reattore, e che era là per lavoro quattro giorni prima che si scatenasse il terremoto, ha detto che non si sentiva bene ed è andato via.
In quel momento mi è venuto in mente quel ragazzo giapponese che avevo visto l’altro giorno in televisione. Lo intervistavano su una spiaggia. Trent’anni, lo tsunami gli ha portato via la famiglia e gli amici. È rimasto completamente solo al mondo.
Lo sgomento e il dolore gli tolgono il fiato.

Dopo un po’ riprende la partita. Ma io non la vedo più. Sono delle figure sfocate che si muovo su un campo verde.
Davanti ai miei occhi solamente quel ragazzo, solo, su una spiaggia.
Maria Paola